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Buongiorno a tutti e tutte.
Le Fotonews di Fotoradio sono un podcast che parla di fotografie collegate da loro da uno spunto comune. In questo caso il fil rouge è il ricordo dello sgancio della bomba atomica su Nagasaki avvenuto il 9 agosto 1945.
È uscita stamani, giovedi 11 marzo 2020, la nuova puntata del podcast dedicata appunto a Nagasaki. Se volete, potete ascoltarla sulla vostra piattaforma preferita che trovate a questo link. Maggiori dettagli sul progetto sono in calce.
Ora parliamo subito di fotografie e delle storie che le fotografie raccontano.
9 agosto 1945
Quello che accade il 9 agosto 1945 a Nagasaki è purtroppo passato alla storia, impresso nella memoria di tutti. Qui diciamo solo alcune parole.
Sono passati 3 giorni dallo sgancio della bomba atomica su Hiroshima quando il bombardiere che trasporta “Fat Man” e i suoi 6,4kg di plutonio fa rotta verso Kokura, nel nord del Kyushu. Per fortuna (degli abitati di Kokura) lì è nuvoloso e quindi l’aereo muove verso l’obiettivo secondario: Nagasaki.
La bomba cade intorno alle 11:00 del mattino, muoiono immediatamente decine di migliaia di persone, altrettante moriranno poco dopo.
Yōsuke Yamahata è un fotografo militare di 28 anni che arriva a Nagasaki la notte stessa dell’esplosione e girerà per la città durante il giorno successivo, a fotografare la devastazione che poi porterà alla resa del Giappone.
Yamahata morirà 20 anni dopo per cancro al duodeno, forse anche causato dall’esposizione alle radiazioni. Ci ha lasciato centinaia di foto di quel 10 Agosto 1945. Alcune tecniche e di documentazione. Altre con una carica drammatica ed emotiva che sono da stimolo, ce ne fosse bisogno, per capire sempre di più e sempre meglio l’assurdità della guerra.
The collection of Nagasaki Atomic bomb Photographs
C’è una unica fonte per le fotografie di cui parliamo nel podcast e in questa newsletter. Si tratta di un bel volume edito nel 2015 in occasione del 70esimo anniversario, che raccoglie fotografie di vari autori, tutte realizzate nei giorni immediatamente successivi allo scoppio.
L’ho trovato al book shop del Museo della Bomba di Nagasaki, dove sono stato nel febbraio del 2020 e dove è nata l’idea di questa puntata. Il libro si può reperire anche su Amazon uk.
Hibakusha
Gli hibakusha (letteralmente “coloro che sono stati colpiti dal bombardamento”) è l’appellativo che identifica i sopravvissuti di Hiroshima e Nagasaki. E non è un titolo onorifico. Anzi, il contrario.
Siamo nel 1945 e gli effetti dell’esplosione atomica erano in parte ignoti anche agli americani. Figuriamoci ai civili giapponesi. Si sparge rapidamente l’idea che le conseguenze dell’esposizione alle radiazioni siano contagiose e ereditarie. Tutti i matrimoni combinati sono annullati ma, di più, gli hibakusha sono emarginati per molti anni.
Il libro che sfogliamo oggi insieme con gli scatti di tanti fotografi come Yōsuke Yamahata, ci portano racconti ed emozioni di chi ha avuto la fortuna (?!) di sopravvivere.
La prima foto che vediamo mi ha fatto pensare.
Yōsuke Yamahata raccoglie questo scatto il giorno dopo la devastazione, prendendo il sorriso di questa ragazza che esce da un rifugio mentre la città è rasa al suolo. Si può ridere quando intorno a te sono morte 70.000 persone?
Mi sono pentito subito di aver fatto questa domanda. Su Nagasaki si è abbattuta una forza distruttiva inimmaginabile, una luce accecante e un’ondata di calore di migliaia di gradi che ha bruciato tutto all’istante. Sopravvivere è dunque un evento straordinario che può causare reazioni straordinarie.
Un altro hibakusha (che non ride affatto) è questo bambino, con in mano la sua razione giornaliera per la sussistenza: una palla di riso.
La foto è sempre di Yōsuke Yamahata. Nel 1995 alcuni suoi scatti girarono l’America, in un mostra a ricordo dei 50 anni dalla bomba. Carol Squiers, una giornalista del New York Times, recensisce quegli scatti e dice una cosa interessante:
In qualche modo le sue fotografie non dovrebbero essere considerate come “fotografia di guerra”, perché la parola guerra implica due contendenti. Il 9 agosto 1945 una delle due parti non aveva modo di combattere contro la terribile nuova arma. Forse una nuova categoria andrebbe creata per immagini come queste da Nagasaki: chiamiamola “fotografia dell’annichilimento”
E la parola annichilito, annientato… è la parola giusta per descrivere lo sguardo di questo bambino.
Nella foto qui sopra, un ragazzo tiene sulle spalle il suo fratellino ferito. Stanno cercando i genitori, diranno dopo al fotografo Yōsuke Yamahata.
Storie come questa sono molto frequenti nella Nagasaki del giorno dopo.
Hiroyasu Tagawa, 12 anni, qualche giorno prima viene mandato dalla zia fuori città, insieme alla sorellina. I genitori invece restano per lavorare. La mattina del 9 agosto, Hiroyasu vede l’esplosione in lontananza e decide di andare a Nagasaki a cercarli. E li trova.
Il padre lavora in una fabbrica dove deve maneggiare materiale chimico pericoloso. Proprio quello che sta facendo quando scoppia la bomba e l’intruglio chimico gli finisce addosso, sciogliendogli i piedi.
Hiroyasu vuole fare qualcosa per il padre. Lo porta in un ospedale da campo improvvisato (siamo sempre nel giorno dopo lo scoppio). Un dottore gli amputa velocemente le gambe con una sega da carpentiere. Il padre morirà dopo 3 giorni. Per anni Hiroyasu si è portato dietro il senso di colpa di aver condotto il genitore in ospedale. Tornato a casa qualche giorno dopo, Hiroyasu trova anche la madre morta.
Resta solo l’ombra
L’esplosione atomica genera una luce accecante e un’onda di calore che brucia tutto. Quando un corpo si interpone fra la luce e un altro elemento, proietta un’ombra e assorbe energia. L’onda di calore brucerà un po’ meno dove c’è l’ombra.
Questo quello che si legge cercando qualcosa su internet sul fenomeno delle ombre stampate nelle esplosioni atomiche.
Questa foto di Eiichi Matsumoto è del settembre 1945 e mostra la parete di una casa che ha resistito alla devastazione e ha impresse l’ombra di una scala e di un uomo. Quell’uomo probabilmente è stato carbonizzato all’istante e ne resta solo l’ombra.
La cattedrale di Urakami
Un’altra storia della Nagasaki colpita dalla bomba riguarda la cattedrale cattolica di Urakami Tenshudo.
Per i Cristiani in Giappone non è mai stata vita facile. Dal 1600 partono delle persecuzioni in piena regola, con torture e crocifissioni. Verso la fine del 1800 la situazione si allenta un po’ e 3.000 cristiani si ritrovano nella zona di Urakami, a Nagasaki. Decidono di costruire una cattedrale. Dopo anni di lavori, viene inaugurata nel 1925. È la più grande di tutta l’Asia.
Peccato che solo vent’anni dopo, gli occidentali la radono al suolo grazie all’ordigno più potente mai usato in un conflitto bellico.
La foto è di Shigeo Hayashi, dell’Ottobre del 1945 e mostra l’ingresso sud con le statue annerite ai lati del portone che non esiste più, come non esiste più l’interno della chiesa.
Peraltro, la cattedrale ospitava anche una statua di Sant’Agnese (martire del II secolo) ritrovata a faccia in giù con la schiena rovinata dall’onda di calore. Ora la statua è nella sede delle Nazioni Unite.
Andare avanti
L’ultima foto che guardiamo insieme è ancora di Yōsuke Yamahata
Siamo sempre nella giornata del 10 agosto 1945. Sullo sfondo, le rovine. In primo piano, una donna che ha un bimbo aggrappato alle sue spalle e in mano una tinozza che, dirà dopo al fotografo, contiene i resti della sua famiglia.
È il giorno dopo il disastro. Probabilmente la donna non ha la minima idea di cosa fare o di dove andare. Tra il passato nella tinozza e il futuro sulle sue spalle, la donna sembra però estremamente determinata ad andare avanti.
E per noi che guardiamo a 75 anni di distanza, è un buon messaggio arrivato grazie alle fotografie e al sacrificio di Yōsuke Yamahata.
Grazie
Abbiamo finito, grazie di aver letto fin qui.
Se vi interessa, aggiungo che Fotoradio è un podcast, che parla di fotografie con un fil rouge diverso per ogni puntata. Se vi interessa date un’occhiata al blog che riporta tutte le puntate.
Se vi interessano le foto e le storie che abbiamo visto qui, potete ascoltare la puntata dedicata a Nagasaki.
Infine, due parole sul progetto
Tutto è nato con il podcast. Ce ne sono tanti, anche in Italia, che parlano di fotografiA, ovvero di obiettivi, di corpi macchina, di software e foto ritocco. Ma ce ne sono pochi che parlano di arte fotografica, di fotografiE, degli scatti che cambiano il mondo o, almeno, lo interpretano.
Il progetto podcast è ancora amatoriale, con tanti errori di montaggio e di pulizia del suono. Ma vabbé, migliorerà.
Nel frattempo c’è anche un piccolo canale youtube dove vedere rapidamente le foto oggetto delle puntate, compresa questa.
Se cercate un contatto trovate qui tutti i link e tutti i canali possibili.
Infine, tutte le foto sono trattate secondo le regole del fair use. Qui spiego meglio.
Grazie ancora, ci vediamo alla prossima. E nel frattempo, buona giornata.